Gian Lorenzo Bernini e le prime opere

ritratto bernini
Gian Lorenzo Bernini

Gian Lorenzo Bernini diede un’impronta rilevante all’arte dell’età Barocca. Nacque a Napoli il 7 dicembre del 1598, figlio di Pietro Bernini, un pittore e scultore toscano e di Angelica Galante, una popolana napoletana. Nel 1606 Lorenzo si trasferì a Roma con la sua famiglia, dove visse per tutta la sua vita ad eccezione di un breve viaggio in Francia nella corte di Luigi XIV. Il suo primo maestro fu il padre e nel cantiere di quest’ultimo Lorenzo apprese i fondamenti tecnici della professione, fornendo subito prova della sua precoce attitudine creativa. Studiò con passione la tradizione rinascimentale del disegno e della rappresentazione della figura, i marmi antichi delle raccolte vaticane e importanti maestri contemporanei, soprattutto Annibale Carracci.

 

capra amaltea
Capra Amaltea 1615  marmo, galleria borghese Roma.

Nella prima fase stilistica, Bernini dimostra un interesse e un rispetto assoluto della scultura ellenistica in opere che imitavano alla perfezione lo stile antico, come nell’opera Giove e Fauno allattati dalla capra Amaltea, terminata nel 1615 e considerata da molti la prima opera in assoluto di Lorenzo Bernini, nella quale l’artista adottò una particolare tecnica d’invecchiamento del marmo, in modo da far credere agli studiosi che la statua fosse dell’età ellenistica. In quest’opera è rappresento un episodio dell’infanzia di Giove quando, salvato dalla minaccia del padre Saturno, fu allevato dalle Ninfe presso il monte Ida col miele e col latte della capra Amaltea. Il marmo è trattato in maniera diversa nelle varie zone per rendere sia la sensazione tattile della superficie dei corpi, ma anche per avere una diversa luminosità, una resa addirittura cromatica, per esempio il latte bianchissimo che sta bevendo il satiretto.

 

In seguito la commissione di gruppi statuari da parte del cardinale Scipione Borghese, nipote di Paolo V, costituì la prima importante occasione professionale di Bernini al quale furono commissionati capolavori come il David e Apollo e Dafne. In particolare il David realizzato tra il 1623 e il 1624 riprende il mito biblico di David e Golia, nel quale David affronta il gigante Golia armato con una fionda. Bernini, seguendo gli schemi del Barocco, raffigura il David un momento prima che quest’ultimo scagli la pietra che ucciderà il gigante Golia,

cogliendolo in una torsione e in una espressione di sforzo con una massima tensione fisica ed emotiva . La rotazione del corpo serve ad accumulare la massima potenza. Nel volto la fronte corrugata, gli occhi rivolti verso il bersaglio e le labbra serrate, da un lato evidenziano lo sforzo di racogliere le energie per l’azione imminente, dall’altro la concentrazione del giovane sul bersaglio da colpire. Ai piedi del David vi è la corazza ,secondo il mito prestata dal re Saul, la quale è lasciata cadere perché troppo pesante, sotto alla quale è possibile scorgere una testa d’aquila simbolo della casa Borghese.

 

Confrontando il David di Bernini con quelli di Michelangelo e Donatelo si possono notare alcune analogie e diverse differenze; come Michelangelo Bernini ha scelto di realizzare il suo capolavoro in marmo, a differenza di Donatello il quale utilizza il bronzo. Il momento raffigurato è quello prima dell’azione come il David di Michelangelo e non come quello di Donatello raffigurato con la testa di golia sotto il piede, segno di vittoria. Ciò che differenzia il David di Bernini da quello di Michelangelo e Donatello è la visione Barocca del Bernini la quale è elaborata nel movimento. Questa visione coglie tutte le espressioni corporee che manifestano lo sforzo riportando anche il minimo particolare in una posa sinuosa e plastica differente dalla visone rinascimentale, il David di Bernini è quindi colto nel movimento. La sua figura non è statica come in Donatello e Michelangelo, ma dinamica ed è stato rappresentato per essere visto da tre diverse angolazioni come in Donatello. Alla fissità delle statue rinascimentali subentra qui una rappresentazione fortemente emotiva, capace di coinvolgere lo spettatore a tal punto da poter quasi sentire tutta la tensione di David.

dona miche berni

 

La stessa descrizione psicologica ispira anche il gruppo con Apollo e Dafne dove lo scultore traduce le immagini del mito tratto dalla metamorfosi di Ovidio. Il mito narra del Dio Apollo il quale si vanta di saper usare come nessun altro l’arco e le frecce, meritandosi così la punizione di Cupido, che lo colpisce con uno dei suoi dardi facendolo innamorare della bella ninfa Dafne, la quale però aveva consacrato la sua vita a Artemide e alla caccia. L’amore di Apollo è irrefrenabile, perciò Dafne chiede aiuto al padre Penéo, Dio dei boschi, il quale per impedire ai due di congiungersi la trasforma in un albero di alloro, che da quel momento diventerà sacro per Apollo. Questo tema non era mai stato affrontato in scultura prima di Bernini. Nella scena Dafne rincorsa da Apollo si protrae in avanti mentre la metamorfosi si compie sul suo corpo ed è visibile nelle mani che divengono rami e foglie, mentre i capelli e gambe si trasformano in tronco e i piedi in radici; la ninfa pare non accorgersi della metamorfosi che il suo corpo sta subendo ma è piuttosto preoccupata da Apollo che l’ha raggiunta e verso il quale volge uno sguardo di terrore. Apollo invece si rende conto della metamorfosi che Dafne sta subendo e l’espressione di soddisfazione va mutandosi in stupore incredulo. L’immagine ha una sua sequenza temporale: si percepisce il movimento, la provenienza dei protagonisti e, nel caso di Dafne, il suo aspetto prima e dopo l’attimo raffigurato, ma aveva anche una sequenza che l’artista, con una soluzione da regista teatrale, aveva previsto per l’osservatore. Quest’ultimo entrando nella stanza dal lato sinistro, incontrava con lo sguardo prima Apollo, notandone il movimento e poi ponendosi frontalmente, veniva posto davanti allo spettacolo raccapricciante della trasformazione con tutti i suoi particolari. Infine, scorrendo verso destra, scorgeva le espressioni drammatiche dei due personaggi, completando la sua immersione nella storia. Il marmo in questa composizione è lavorato con tanta maestria da assumere quasi la trasparenza dell’alabastro. Inoltre un distico alla base della statua riassume bene la metafora della vanità nell’inseguire la bellezza e dice:
«Chi amando insegue le gioie della bellezza fugace
riempie la mano di fronde e coglie bacche amare »

L’arte dApollo5i Bernini sapeva accontentare in pieno i gusti dei committenti e la spettacolarità dell’immagine tramite i molti particolari verosimili come la carne che si trasforma in legno o le dita che prendono la forma di sottilissime foglie è uno dei principi di base dell’estetica Barocca.

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